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Thursday, April 7, 2016

Regeni forse ucciso per i suoi contatti con una spia inglese infiltrata

Le indagini sulla morte del ricercatore friulano


Giulio Regeni si trovava al Cairo per una ricerca sui sindacati egiziani

In uno dei gruppi di ricerca di Giulio Regeni si nascondeva un infiltrato dei servizi segreti inglesi. È una ragionevole certezza maturata in questi giorni negli ambienti dell’Intelligence italiana. Era finora noto che all’origine delle torture e del delitto del dottorando friuliano ci fosse il sospetto, da parte degli apparati egiziani, che si trattasse di una spia della Gran Bretagna. 

Ma adesso emerge un aspetto preoccupante che, se fosse confermato, potrebbe avere importanti conseguenze a livello diplomatico. Per la realizzazione dei suoi report, il ventottenne laureato a Cambridge avrebbe infatti lavorato in contatto - probabilmente a sua insaputa - con un infiltrato degli 007 dell’MI6. Dai servizi italiani non filtra il nome della società al centro dei sospetti. Occorre dunque indagare negli ambienti in cui è maturata la passione di Giulio per il mondo arabo. Nel 2005, vinse una borsa di studio allo United World College America West, in New Mexico, sede principale dell’Armand Hammer United World College of the American West, una scuola biennale orientata allo studio dei conflitti. All’Università di Cambridge è arrivato nel 2011. È riuscito a farsi mandare al Cairo con un incarico per l’Organizzazione per lo sviluppo industriale delle Nazioni Unite. Tra il settembre del 2013 e quello 2014 ha lavorato alla Oxford Analytica. In Egitto era «visiting scholar» all’American University al Cairo. 

Giulio è stato dunque strumentalizzato? Una pedina inconsapevole nello scacchiere dello spionaggio internazionale, sull’asse Londra-Il Cairo? 

Se così fosse, sarebbero inevitabili ripercussioni sugli equilibri tra Italia e Gran Bretagna. Come non tenere conto del fatto che un nostro connazionale sarebbe stato coinvolto in un’attività di raccolta dati accanto a un infiltrato inglese? Giulio Regeni, in altri termini, potrebbe essere stato stritolato in un vortice di richieste estorte con brutali torture fino alla morte.  

«Nostro figlio non era una spia e chi sostiene il contrario offende la sua memoria», ribadiscono Claudio e Paola Regeni. Di sicuro era una spia l’infiltrato britannico che è riuscito a spacciarsi per un ricercatore.  

Nella ragnatela di delicate relazioni diplomatiche c’è anche la difficoltà di ottenere il materiale documentario dell’indagine (video, tabulati, verbali e referti medici) dall’Egitto. Qui infatti, a differenza dai Paesi europei, la polizia e il potere giudiziario non hanno autonomia rispetto a quello esecutivo. La cooperazione con i nostri inquirenti viene sbandierata solo a parole, ma non si concretizza in una reale trasmissione degli atti necessari a stabilire la verità. Giovedì prossimo, a un mese esatto dal sequestro, scatta dunque la deadline del pm della procura di Roma Sergio Colaiocco, che coordina il pool di carabinieri del Ros e poliziotti dello Sco in trasferta al Cairo.  

Occorre mettere un punto fermo nella scarsa circolazione di indizi e reperti. Ma anche in questa circostanza, è evidente che la partita è destinata a diventare politica. C’è la necessità di capire chi si cela dietro la mano assassina: Polizia o servizi deviati egiziani? Un complotto anti Al Sisi dei Fratelli Musulmani per incrinare il rapporto con il nostro Paese? Una vendetta contro il mondo della ricerca inglese, terreno fertile di infiltrati?  

Intanto, alcuni parlamentari di Westminster capitanati dal deputato laburista per il seggio di Cambridge, Daniel Zeichner, hanno iniziato a chiedere al governo l’avvio di un’inchiesta pubblica ufficiale sul delitto. 

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